percorro la rima fragile che si fa corda sul volto/ sciame di ricordo annodato sulle dita puntellate da scatti di dolore/ percorro e corro sulla forma del tempo che raccoglie la tua ombra e, ferma fra le parole che non ti ho mai detto, strofino la corteccia dei miei occhi attraversandomi come un fiume/ nero come l’assenza smisurata che mi riempie al tuo nome.
sono arrivata a nutrirmi di pietre di fuoco freddo, di aride ombre, di sanguigne conseguenze estirpate come radici alla terra. sono arrivata a redimere le mie stesse pene, ad attraversare l’esilio del cielo senza metodo, senza equilibrio , a mani nude, con l’anima incerta e la bocca asciutta. ho tremato accanto agli inverni mentre l’orlo del mio tempo era un incendio a calibrare furore.
e sono arrivata fino a qui, piena di fiamme, cosciente di parole, profonda di stati d’animo mentre tutto fuori scivolata contaminato da aria di tempesta e l’erba era un tappeto di velluto che assorbiva pianto e leggerezza
pensavo al mio corpo, a come è riuscuito a mantenersi in equilibrio fra contraccolpi di questi anni, a come è riuscito a mantenersi in piedi fra le selve oscure, all’abilità del mio petto a non scoppiare. pensavo all’involontarietà della mia vita, alla materia casuale che si è fatto postuma sopravvivenza, valore che come un’ultima bugia si è tagliata palmo palmo restando penitenza pagata senza funebrità e conseguenza. pensavo a quanto è riuscita a refrigerarsi l’anima mia per sopportarsi e trasportare la quantità di pena, preghiera asfissiante come posa fra le mura, corale trauma raggiunto poi in preghiera.
c’è qualcosa di fortemente beato nel dimenarmi fra le ceneri /ripiego nella preghiera ma rinnego ogni somma benedizione/
.mi basterebbe una sola caduta nella notte per non sentirne la superficialità della terra fin sotto la pelle resa superflua.
/scorcio spigoloso al risveglio fino alle assenze oscillanti e liquide fra una vertebra e l’altra/
.mi basterebbe sentirmi in ripida ascesa una traccia spaiata ad un bivio una bianca sovraesposizione di condensa che nella sua caduta finale perde il suo andare.
sono come un grido di preghiera che sanguina
un ghigno vomitato su una materia sacra
una parete d’affetto sconsacrato
un’edera avvelenata
una condanna ai piedi della mia defunta madre .
perduto candore e maleficio smetto di essere il riflesso di questo Purgatorio indomito ma tu dimmi su quale cielo mi devo inchiodare per non cadere e continuare a tremare di questa continua Epifania che non mi porta nessuna Luna. Mia Euforia , svuotami di tutto questo dire avvolgimi nel sudario distillato d’una nuova vita e nella notte più lunga con il suo giorno più tormentato dentro lasciami cadere a pezzi fin dove riconosco il rovescio del dolore e fa ch’io torni ad essere quel grido fiero preghiera inferiore quel ghigno che si fa rituale e muro lavico su cui continuare ad inchiodare questo pezzo di ossa che mi incombe attorno .
cambio la debordante visione del peso dall’anima
con questa carne inumidita dal tempo
non sono altro che un copione ripetuto a stento
uno spettro solitario
una collezione d’ossa visionarie
disperse a grappolo
sul riverbero di ogni memoria raccontata .
lascio che l’ingombro delle cose
prendano spazio e forma
fra i pensieri inesatti
fra le ombre a luci spente
fra le orme a piedi nudi
fra le membra asciutte e stanche .
la morale di questo esistere
continua a rinnegarmi sulla stessa rima del cuore
e chiedo scusa ancor prima di cadere
ripetutamente negli sbagli fraintesi
prima di incedere nuovamente senza palpito
fra le briciole di una pelle
che zampilla di sangue nutriente e niente .
irrompe il silenzio d’una forma che è uno spruzzo di luce accanto agli occhi ,nera come la seta di un travaglio passionale . si alterna la notte amplificando il giorno in un continuo emergere di abissi con un tempo che si svezza d’oltre in ogni senso concepito . ho le mani libere immerse a toccare quanto accade in questa distesa lucida di fiamme . le colpe sono fresche lenzuola fra i colpi compressi in una ragnatela di fiati che slacciano le parole libere senza voce . irrompe il silenzio in questo ristagno di sogno che veglia i fianchi ancora caldi mentre il nero accanto agli occhi offusca la certezza di un cuore che travasa battiti senza rimpianti mentre è ancora il giorno a clonare le ore silenziose di un amore ritrovato e perduto mentre senza rotta si perde continuamente la notte .
è un eterno sepolcro questo oscillare nella notte
un grido che si fa chiodo nella preghiera sospesa
nel disgusto dell’aurora mancante
sono una vittima terrena , un gelo .
mi svuoto ogni volta ma ritorno ammalata
di questo incombente dolore
di questa pelle nera che tracima pena
cenere nera , immediata nella colpa .
fra le mani ho nascosto un rituale
nel petto un requiem da dimenticare
nell’anima un rantolante oblio da adagiare
è un eterno sconfinare questo oscillare nella vita
una commozione che non appartiene al cuore
un intollerabile conseguenza che non fa altro che ripetersi
come lo sguardo rosso di un silenzio che si fa carne .
rimbomba nell’interiore un nome secondario
una equazione d’amore estrema che si esterna
sulla pelle arrancante e fragile , un gelo .
è un eterno purgatorio questo assolato cortile un trionfo di voci che uccidono , come le risa negli arpeggi di un delirio che condanna armonicamente come la salvezza mentre pulso ancora , immediata nella colpa .
c’è qualcosa di fortemente assente fra me e questo tempo di clessidra . mi sento come la polvere di stelle mancante per essere una magia perfetta concreta piuttosto che granelli di polvere sparsi in quell’inquietudine primordiale che ritrovo fra le provvidenze dei ricordi e la beatitudine sacra
le ore scorrono oblique
come le lancette ferme
sul silenzio di questa casa .
non si allinea più la notte al giorno
come faceva un tempo il tempo
nella sua riluttanza alle intermittenze .
ora mi sembra tutto cosi disfatto
anche la mia ombra
che s’accavalla alle luci stropicciate
di un fare e disfare
che non mi riporta più
sulla frontiera del mio essere arbitrio
del tempo nel tempo
nuovamente frammentato
nella parità della notte
discontinua al giorno
come ogni volta , come fra le ore troppo fredde di un inverno stropicciato . come tutte le altre volte che mancherò di moltiplicare le parole per il loro verso , per ogni altra volta che non sarò all’altezza di questa vita, di questa notte che esplode continuamente in ogni altro giorno . fin quando là fuori tutto il nero che lascerò sotto i miei passi non diverrà l’unica traccia che mi urlerà contro di una identità che rifletterà ogni altro angolo esposto del mio essere , vagherò negli inferi del cuore dove ristagna l’ardito esempio di un dire che si fa creatura degna di non amore .
Dopo le tenebre quale altro corpo di pergamena avvolgerà l’arido tumulto dal mio cuore in quest’alba terrena . Quale altro astro laconico pungerà la mia lingua e la renderà pendente in caduta libera sulla sinistra delle variazioni di sale . So per certo che null’altro sarà come prima . Ne io ricoperta di mille voci oltre il varchi di questi cespugli immondi ne il mondo che piagnucola sulle sue progenie perse .
aggrappata al senso di una notte cava,loquace quanto basta per zittire il silenzio in quest’Abazia,nutro [spalancandomi il ventre di una fame dal nome vizioso] l’assoluta tenebra che dalla mia stessa riproduzione vince. aggrappata e mai stanca al senso esplicito di questa distruzione, mi rendo carnefice del mio stesso decantato amore, e fra ritratti di volti celesti, ombre assurde prodigiose nei baci, bocche stridenti come arpie fiere, dilato il tempo come pelle d’oblio assiderato dove non mi capacito d’averne ancora, sfibrata come una vesta spaccata. proiettata verso un inferno che alla mia anima appartiene resto dunque ancora qui,sfinita e nuda, nella proiezione più astrale che ci possa essere della dannazione fatta persona .
.cosa ne farò della mia morte.
a fatica sbavo per questa vita
a fatica mi concedo ancora ad essa
.semmai ne fossi certa. berrei dalla mia stessa condensa per riportarmi in un luogo improprio, per sospirare ancora fra questi petali che voi umani tanto amate .
.semmai ne fossi certa. risorgerei anch’io
petalo infetto e linfa vaporosa .
Dell’amor mio ne ho fatto tempesta
non un riparo .
Del corpo un groviglio
ogni volta una sufficienza stonata
un’afferrare di nervi scoperti
smussati con carezze contromano .
Nel fondale del mio essere
inghiotto silenzi e parole mancanti
mai una morte avvenuta
per le ardite carezze instabili .
Sono un eterno bisogno
di lingue e tormenti .
Un pezzo di fuoco alto e possente .
Del mio corpo ne ho fatto un groviglio
di sensi a distanza
con metafore e arpeggi
ogni volta più leggeri
come in ripida ascesa
_ardenti e fatati .