_e intorno tutto sembra in disordine, smarrito nei rintocchi del vento che con un riflesso bianco mi richiama a se come fa la sera prima che cada, prima che il brusio dell’assenza avanzi ed io torni a vestire il senso smarrito di tutte le cose
nella completa trasparenza, nell’assoluto chiarore. non esigo altro che la tua luce in me, interiore, nell’assolutezza del profondo che si ferma e resta a guardare. ed io mi fermo e come il tempo affondo, e non cerco altra materia per la risalita se non nell’insondabile essenza che è nella somma del mio io nell’esplicito tuo con chiarore e fulgore.
nei tuoi arpeggi lastricati di cera all’ombra del crepuscolo cigolante nel buio, dalle mie inesauste brame sbuffi di reminiscenze dal tuo corpo al mio rantolano come lampi di coito e grida evanescenti, tuoni a deragliare sulla madida pelle travolta dalla codardia dell’indifferenza che nell’abbaglio dell’inganno come una lama imperversa euforica fra i lucernai della pelle gelida d’affranta bruma.
nel logorio restante del tempo, intermezzo all’esistenza, si sfalda come fame sulla lingua asciutta, malizia che fu lama a consumare fame, e nel dilagare di rantoli e spine a pungere, le ore_ madide a fendere come brama irrorata_ mi attraversano roventi e trasversali fino a risorgere cariche ed aride come balsamo di catrame sulla schiena a sciabordare.
[let me sleep on it] fammi raccogliere dai sogni le molteplici speranze posate sulla pelle prima di ogni altra intenzione. lasciami vestire il disordine della tua pelle mentre mi arrendo e accendo ragioni oltre il limite delle volontà.
sono arrivata a nutrirmi di pietre di fuoco freddo, di aride ombre, di sanguigne conseguenze estirpate come radici alla terra. sono arrivata a redimere le mie stesse pene, ad attraversare l’esilio del cielo senza metodo, senza equilibrio , a mani nude, con l’anima incerta e la bocca asciutta. ho tremato accanto agli inverni mentre l’orlo del mio tempo era un incendio a calibrare furore.
e sono arrivata fino a qui, piena di fiamme, cosciente di parole, profonda di stati d’animo mentre tutto fuori scivolata contaminato da aria di tempesta e l’erba era un tappeto di velluto che assorbiva pianto e leggerezza
tornare al lamento di certe notti, alla gloria delle macerie sul corpo, a quel consumarsi che si annerisce come un ultimo boccone, come quella fame che non è mai pigra.
tornare a custodire il silenzio senza sosta nella prima luce, sulla soglia di una ragione che fioca annuncia e rintocca come un bacio a lingua piena.
tornare alla pelle rivoltata fresca come un lenzuolo al buio, essere opera acerba di ritorno bianco sale ad accanirsi sulla guarigione di un’anima che perisce fra le solite carezze.
pensavo al mio corpo, a come è riuscuito a mantenersi in equilibrio fra contraccolpi di questi anni, a come è riuscito a mantenersi in piedi fra le selve oscure, all’abilità del mio petto a non scoppiare. pensavo all’involontarietà della mia vita, alla materia casuale che si è fatto postuma sopravvivenza, valore che come un’ultima bugia si è tagliata palmo palmo restando penitenza pagata senza funebrità e conseguenza. pensavo a quanto è riuscita a refrigerarsi l’anima mia per sopportarsi e trasportare la quantità di pena, preghiera asfissiante come posa fra le mura, corale trauma raggiunto poi in preghiera.
volevo renderti bianco un libro aperto , un’anima senza parola chiave .
volevo renderti la mia di parola nuda , disconosciuta , un ticchettio nelle ore ferme .
volevo renderti il mio mese preferito una risata capovolta , un’affinità senza fine . volevo renderti pace dopo la guerra , una persona combattente , vincente accanto alle mie guerre perse .
volevo renderti il mio muro del pianto , casa dalle finestre aperte , cortile con gli alberi sempre in fiore .
volevo renderti prezioso fra le cose smesse un respiro , un fiato appena , una briciola di vita , il verbo infinito nella bocca mia .
vorrei riuscire a dissolvermi nella bramosia rabbiosa della tua bocca . vorrei riempire il tuo calice di ardita a scintillante piena . vorrei appagare la distanza dei tuoi occhi e galleggiare fra le gocce di sudore che ondeggiano dalla tua fronte alla mia . vorrei…essere quella carne viva che non trova una scorciatoia per entrare in te .
vorrei essere quella divisione oscura che diventa follia intrecciata alle mani e poi alla lingua compiacente e ancora nella forma inesausta un pezzo di cartilagine incompleto vibrante come una corda tesa sul punto di spezzarsi . vorrei essere quel rischio che rumoreggia e nel silenzio della notte accorgermi che il desiderio di dissolvermi in te si completa con un riflusso di sangue .