_e intorno tutto sembra in disordine, smarrito nei rintocchi del vento che con un riflesso bianco mi richiama a se come fa la sera prima che cada, prima che il brusio dell’assenza avanzi ed io torni a vestire il senso smarrito di tutte le cose
posandomi spoglia sull’alone inutile della memoria breve. nel ripormi come perimetro di luce assorbo l’assoluto di un giorno che si tramanda sulle palpebre asciutte senza profondità nello schiudersi.
ampia e scorrevole filtro la polvere sulla pelle grezza. soccombo al rifiuto del buio smorzato e corrotta nelle non più amabili vesti la mia ombra ellitica e sterminata conserva l’audacia che fu un tempo ghigno del cielo.
il giorno e la sua fine, [ nel moltiplicare luci e spettri indistinti ] come un urlo mi attraversa il disordine degli occhi, come un filo rosso sangue che si incastra nel profondo del destino. il giorno e la sua fine è un pianto di crisantemi un fruscio gelido senza contorni, uno squarcio d’ombra e miele che gocciola sul petto come un canto, un inno nel suo inesatto giorno e la sua fine a sparpagliare fiati prima che si riconceda all’inverno e al suo lamento che come un urlo, [ che mi attraversa ] maturo fra i denti.
come una pietra, l’anima nell’inclinazione del maestrale. ne perdo il senso di equilibrio i contorni stabili la metrica della consistenza. divento ombra in collisione sul muro dell’esistenza, gemito, brivido all’imbrunire nodo di seta disarmonico in subliminale caduta, profondo tonfo sul limite del respiro.
[e dagli occhi mi si svuota il pianto
dal corpo mi si svuota il cuore]
c’è silenzio ora qui. qui dove è stato vissuto tutto con eccesso. voce e silenzio. amore e rancore. sapere e dolore.
c’è silenzio ora qui. qui dove tacere è stato subire. amare, illudere. l’ironia, una anomalia. ricordare, il mio male.
c’è silenzio ora qui. qui dove le distanze sono sempre state inappropriate. grida, lacrime. vuoto a spezzarmi. inganno a sapermi.
ho raccolto fili di lacrime, stanze schierate, ombre incollate, soffitti pieni, cieli vuoti. ed ora sono qui ad illuminare senza candele un solo affresco di silenzio una luce lunare senza sognare. un amore senza languore, una me che non riesco a cambiare.
pensavo al mio corpo, a come è riuscuito a mantenersi in equilibrio fra contraccolpi di questi anni, a come è riuscito a mantenersi in piedi fra le selve oscure, all’abilità del mio petto a non scoppiare. pensavo all’involontarietà della mia vita, alla materia casuale che si è fatto postuma sopravvivenza, valore che come un’ultima bugia si è tagliata palmo palmo restando penitenza pagata senza funebrità e conseguenza. pensavo a quanto è riuscita a refrigerarsi l’anima mia per sopportarsi e trasportare la quantità di pena, preghiera asfissiante come posa fra le mura, corale trauma raggiunto poi in preghiera.
come una vera notte con un unica vocazone. pelle e voce luna scura. il bosco si fa carne ed io mi consumo fin dentro le giunture estinte per dolcezze.
torno alle preghiere torno alle litanie torno alle rese torno come una rosa.
mi faccio bocca priva di fame. scrivo senza pronunciare scrivo dell’altrove mondo . ed è tutto qui il nero, il bianco il lutto, la nascita il mare, il niente.
torno alla sabbia torno alla radura. torno senza ali torno sempre, senza sconfinare.
la pelle si spezza
tesa fra gli avverbi celati
muti e mutevoli
negli incontri che si scontrano
come un confronto empatico
tra la lingua e gli occhi .
è un desiderio necessario
l’altrove , scintilla che punge
ma non ne riproduce il dolore .
tesa ,fuori da ogni controllo ,
una patina di zucchero
che non riesco a dilatare .
assecondo il richiamo
di piccole stille rosse
frapposte sul tacere
di un suono che si fa contrasto
con il corpo che ebbi
e l’anima che fui .
dis_imparo ogni volta
ad ogni nuova vita .
dove le ombre tacciono
i miei occhi ammiccano .
incontrollato è il sangue
che urla sulla polvere accumulata .
c’è qualcosa di fortemente beato nel dimenarmi fra le ceneri /ripiego nella preghiera ma rinnego ogni somma benedizione/
.mi basterebbe una sola caduta nella notte per non sentirne la superficialità della terra fin sotto la pelle resa superflua.
/scorcio spigoloso al risveglio fino alle assenze oscillanti e liquide fra una vertebra e l’altra/
.mi basterebbe sentirmi in ripida ascesa una traccia spaiata ad un bivio una bianca sovraesposizione di condensa che nella sua caduta finale perde il suo andare.
Esile si fa la forma come la punta sottile di un’armonica luce . Eccentrica l’ombra ne segue la gloria come nel dirsi parole . …e si lascia scivolare nei granelli di derma in redenzione fermi sul confronto di una silente combustione che deraglia in clemenza esigente di un candido oblio reso fiero respiro .
Sono prossima all’impatto emozionale inconsapevole dell’intenzione blaterata d’insolente autenticità . Nel pieno della fierezza del mio essere ringrazio ogni aspettativa nutrita e mal goduta di questa carne entusiasta che si motiva di latranti rimorsi .
Ho chiesto continuamente la conversione della mia parola in dimora e Purgatorio . Un riprendermi in senno dei sensi sconfinati sull’andare intollerabile . Niente mi tiene al riparo da questa sconfinata morte , che sia per la carne , che sia per l’amore .
Ho chiesto di riempire i miei abbracci con polveri sepolcrali sensati , di fuoco ardente, di assolato dolore , di spine e candore . Niente mi tiene al riparo da questo limbo d’illusione se non la realtà oscura partecipante al mio sogno migliore , che sia rosso come la lacrima del cuore , che sia nero come l’inchiostro con cui scrissi il tuo nome .
cambio la debordante visione del peso dall’anima
con questa carne inumidita dal tempo
non sono altro che un copione ripetuto a stento
uno spettro solitario
una collezione d’ossa visionarie
disperse a grappolo
sul riverbero di ogni memoria raccontata .
lascio che l’ingombro delle cose
prendano spazio e forma
fra i pensieri inesatti
fra le ombre a luci spente
fra le orme a piedi nudi
fra le membra asciutte e stanche .
la morale di questo esistere
continua a rinnegarmi sulla stessa rima del cuore
e chiedo scusa ancor prima di cadere
ripetutamente negli sbagli fraintesi
prima di incedere nuovamente senza palpito
fra le briciole di una pelle
che zampilla di sangue nutriente e niente .
è un eterno sepolcro questo oscillare nella notte
un grido che si fa chiodo nella preghiera sospesa
nel disgusto dell’aurora mancante
sono una vittima terrena , un gelo .
mi svuoto ogni volta ma ritorno ammalata
di questo incombente dolore
di questa pelle nera che tracima pena
cenere nera , immediata nella colpa .
fra le mani ho nascosto un rituale
nel petto un requiem da dimenticare
nell’anima un rantolante oblio da adagiare
è un eterno sconfinare questo oscillare nella vita
una commozione che non appartiene al cuore
un intollerabile conseguenza che non fa altro che ripetersi
come lo sguardo rosso di un silenzio che si fa carne .
rimbomba nell’interiore un nome secondario
una equazione d’amore estrema che si esterna
sulla pelle arrancante e fragile , un gelo .
è un eterno purgatorio questo assolato cortile un trionfo di voci che uccidono , come le risa negli arpeggi di un delirio che condanna armonicamente come la salvezza mentre pulso ancora , immediata nella colpa .