curiosa / deflagrante immediata nel suo intento. impertinente / nutriente nell’onorare l’oblio espropriato alle illusioni di Luce e Vanità.
è meno angusto questo giorno in divenire. è meno parziale nel suo dono inatteso. è colmo di un amore che necessita rima, ammaliante poesia a divincolarsi nel nulla.
[la facilità con cui azzardavo il desiderio e ne facevo invasione chiara per le tue fantasie, per l’ acumine del tuo ego, poesia eventuale, pungolo rovente a mettermi a nudo nelle preferenze delle esigenze]
avevo cura di ogni possibile occasione. cura, mentre il fiato veniva a mancare distesa sulla tua parola d’acqua mai irrequieta a scrosciare nel venirti incontro. avevi cura di ogni nostra possibile occasione mentre la tenerezza a malapena aleggiava nel nulla delle ossa a filo sulla schiena indenne, come quando a violarci erano solo i risvegli degli occhi e il lieve gesto delle mani a contraddirsi dopo la bruma imperiosa accomodata accanto ad ogni impeto di furia.
la fretta arriva contratta fra passi irrequieti e false partenze. il credo silenzioso di questi giorni rinnega il sapore della pioggia esasperata da nuvole mancate, ferrose come le assenze che sono il sale di questi tempi.
la fretta eravamo noi con le ruggini a volte taglienti. eravamo noi, sprovvisti di debolezza, irrequieti di bellezza e fame presunta d’ogni cosa possibile.
la fretta arriva contratta fissa, senza gloria, mista all’idea immancabile di quello che saremmo potuto essere e domani diventare senza mai dimenticare ad un certo punto di sostare e finalmente respirare.
a malapena la tua densità è presentimento, è odore. è impazienza sulla lingua, luminosa lussuria, raggio di sole, reminiscenza, tregua senza inizio. vorrei chiederti di narrami come si narra una prima idea. vorrei chiederti di sostare fra le fessure del mio essere che si strappa come cartapesta e abbandonarmi alla pelle che spogli di sostanza. vorrei chiederti di affiorare boscoso e silenzioso, come mosto selvatico alla fine dell’alba. celebrarti con linfa schiarita, gloria suprema nell’assoluto andirivieni del desiderio che solo a te dono, come si dona una poesia mordendola d’inchiostro denso fra le labbra strappate ad un feticcio di pelle.
volevo renderti bianco un libro aperto , un’anima senza parola chiave .
volevo renderti la mia di parola nuda , disconosciuta , un ticchettio nelle ore ferme .
volevo renderti il mio mese preferito una risata capovolta , un’affinità senza fine . volevo renderti pace dopo la guerra , una persona combattente , vincente accanto alle mie guerre perse .
volevo renderti il mio muro del pianto , casa dalle finestre aperte , cortile con gli alberi sempre in fiore .
volevo renderti prezioso fra le cose smesse un respiro , un fiato appena , una briciola di vita , il verbo infinito nella bocca mia .
vorrei riuscire a dissolvermi nella bramosia rabbiosa della tua bocca . vorrei riempire il tuo calice di ardita a scintillante piena . vorrei appagare la distanza dei tuoi occhi e galleggiare fra le gocce di sudore che ondeggiano dalla tua fronte alla mia . vorrei…essere quella carne viva che non trova una scorciatoia per entrare in te .
vorrei essere quella divisione oscura che diventa follia intrecciata alle mani e poi alla lingua compiacente e ancora nella forma inesausta un pezzo di cartilagine incompleto vibrante come una corda tesa sul punto di spezzarsi . vorrei essere quel rischio che rumoreggia e nel silenzio della notte accorgermi che il desiderio di dissolvermi in te si completa con un riflusso di sangue .
è un eterno sepolcro questo oscillare nella notte
un grido che si fa chiodo nella preghiera sospesa
nel disgusto dell’aurora mancante
sono una vittima terrena , un gelo .
mi svuoto ogni volta ma ritorno ammalata
di questo incombente dolore
di questa pelle nera che tracima pena
cenere nera , immediata nella colpa .
fra le mani ho nascosto un rituale
nel petto un requiem da dimenticare
nell’anima un rantolante oblio da adagiare
è un eterno sconfinare questo oscillare nella vita
una commozione che non appartiene al cuore
un intollerabile conseguenza che non fa altro che ripetersi
come lo sguardo rosso di un silenzio che si fa carne .
rimbomba nell’interiore un nome secondario
una equazione d’amore estrema che si esterna
sulla pelle arrancante e fragile , un gelo .
è un eterno purgatorio questo assolato cortile un trionfo di voci che uccidono , come le risa negli arpeggi di un delirio che condanna armonicamente come la salvezza mentre pulso ancora , immediata nella colpa .
il respiro si fa molle come nella debolezza del ripetersi di gemiti notturni l’aria nel suo ripetersi unge la pelle e le parole , spicciole , scindono sul tuo nome come sottane cucite addosso stropicciate dalle carezze esigenti sciolte come candele accese mentre i fianchi si espongono scorretti sulla curvatura esposta delle tue mani .
trema la ragione sotto la tua presa inarcata , arrendevole cede come in pace mentre la distrazione negli occhi ha vita breve come negli avanzi di richieste candide attenuanti nude che sanno di succo di mandorla a sovvenire con scivolosi agguati della lingua che insegna urli e rapide follie .
non so quanto ho scritto in questi giorni
parole d’amore , puntuali e meticolose
un richiamo d’antica poesia
un fraseggio di fine estate
uno scrigno pieno di malinconia
ho nel silenzio infinite parole da dire
grida piene e rancori da elargire
arie refrattarie a scarnificare
il finire di ferite adoratrici di meraviglia
follia e canti di stregoneria
non so quanto ho scritto in poche ore
parole vertiginose , scenari teatrali
come ad annunciare
che il verbo che mi tiene in vita
sta per arrivare _per poi mancare