nei tuoi arpeggi lastricati di cera all’ombra del crepuscolo cigolante nel buio, dalle mie inesauste brame sbuffi di reminiscenze dal tuo corpo al mio rantolano come lampi di coito e grida evanescenti, tuoni a deragliare sulla madida pelle travolta dalla codardia dell’indifferenza che nell’abbaglio dell’inganno come una lama imperversa euforica fra i lucernai della pelle gelida d’affranta bruma.
volevo renderti bianco un libro aperto , un’anima senza parola chiave .
volevo renderti la mia di parola nuda , disconosciuta , un ticchettio nelle ore ferme .
volevo renderti il mio mese preferito una risata capovolta , un’affinità senza fine . volevo renderti pace dopo la guerra , una persona combattente , vincente accanto alle mie guerre perse .
volevo renderti il mio muro del pianto , casa dalle finestre aperte , cortile con gli alberi sempre in fiore .
volevo renderti prezioso fra le cose smesse un respiro , un fiato appena , una briciola di vita , il verbo infinito nella bocca mia .
Non ho nient’altro per sentirmi leggera se non questo cardiaco contrappeso che trasuda sufficiente pensiero mentre la voglia scevra d’equilibrio mi assale espiando ragioni oltre l’ingordigia affamata d’invidia . Non ho nient’altro per sentirmi profonda se non spicchi di Luna ad abbagliarmi l’idea di una verità che soffoca certezza mentre la punta più alta di un desiderio nascosto brama l’infinito sul palmo di una carezza .
Emotiva
sola nella tortura più atroce .
È sul disegno dei tuoi morsi
che si cela la mappa del mio esistere .
Non appartengo più
a questo sterminio emozionale .
Eri per l’anima l’impreciso colore
pezzi di derma da assemblare
fin dove il cuore sapeva affondare
il suo incarnato esemplare
fra sembianze occulte da annidare .
Eri il coraggio della mia reazione
un ibrido carnale
_una piena di passione
fin dove la notte in me
sapeva annegare .
è un eterno sepolcro questo oscillare nella notte
un grido che si fa chiodo nella preghiera sospesa
nel disgusto dell’aurora mancante
sono una vittima terrena , un gelo .
mi svuoto ogni volta ma ritorno ammalata
di questo incombente dolore
di questa pelle nera che tracima pena
cenere nera , immediata nella colpa .
fra le mani ho nascosto un rituale
nel petto un requiem da dimenticare
nell’anima un rantolante oblio da adagiare
è un eterno sconfinare questo oscillare nella vita
una commozione che non appartiene al cuore
un intollerabile conseguenza che non fa altro che ripetersi
come lo sguardo rosso di un silenzio che si fa carne .
rimbomba nell’interiore un nome secondario
una equazione d’amore estrema che si esterna
sulla pelle arrancante e fragile , un gelo .
è un eterno purgatorio questo assolato cortile un trionfo di voci che uccidono , come le risa negli arpeggi di un delirio che condanna armonicamente come la salvezza mentre pulso ancora , immediata nella colpa .
il respiro si fa molle come nella debolezza del ripetersi di gemiti notturni l’aria nel suo ripetersi unge la pelle e le parole , spicciole , scindono sul tuo nome come sottane cucite addosso stropicciate dalle carezze esigenti sciolte come candele accese mentre i fianchi si espongono scorretti sulla curvatura esposta delle tue mani .
trema la ragione sotto la tua presa inarcata , arrendevole cede come in pace mentre la distrazione negli occhi ha vita breve come negli avanzi di richieste candide attenuanti nude che sanno di succo di mandorla a sovvenire con scivolosi agguati della lingua che insegna urli e rapide follie .
c’è qualcosa di fortemente assente fra me e questo tempo di clessidra . mi sento come la polvere di stelle mancante per essere una magia perfetta concreta piuttosto che granelli di polvere sparsi in quell’inquietudine primordiale che ritrovo fra le provvidenze dei ricordi e la beatitudine sacra
le ore scorrono oblique
come le lancette ferme
sul silenzio di questa casa .
non si allinea più la notte al giorno
come faceva un tempo il tempo
nella sua riluttanza alle intermittenze .
ora mi sembra tutto cosi disfatto
anche la mia ombra
che s’accavalla alle luci stropicciate
di un fare e disfare
che non mi riporta più
sulla frontiera del mio essere arbitrio
del tempo nel tempo
nuovamente frammentato
nella parità della notte
discontinua al giorno
mi ritrovo in questo corpo stretto con la fretta d’un impaziente amore che taglia e annienta i gesti come argini nell’improvvisa debolezza che si fa bellezza ai tuoi occhi e riaffiora come natura nella sola idea che è di ogni cosa .
è cosi che riesco a narrarmi
attraverso te , senza contegno
celebrandomi all’inverosimile
come una gloria inesausta
una vittoria che rigenera ogni ferita
e ogni ferita che immancabile
accetta la sosta che trasformi in urgenza .
mi ritrovo nelle dimenticanze dei giorni in pensieri che devastano il palmo delle mani nel dopo delle carezze a cui ho dato il tuo nome dopo che al tuo nome ho donato fin oltre la fame contenuta del ventre che di donna si reinventa poesia
ho convertito la sembianza della notte
in luminescenze d’assenzio cristallizzato .
là dove il freddo ha spaccato il declino
di ogni ragionevole memoria
ho goduto
come si fa per le attese
negli ardui piaceri
e fra le carezze
pronte a squarciare
ogni riga di cellula vivente .
ho distorto ogni valore controluce e le ho rese pietre grigie d’astinenza .
fallo in fretta a diventarmi neve
nelle vene come se non ne avessi alcuna
soffermati nei sensi che a tratti espongo
e strappa dal cuore
questo vizio che si ricolma di ore nuove
[prendi forma d’aria immobile
senza Luna a ricoprirmi
senza notte a masticarmi]
sono un’anima che si tiene a freno
con un guinzaglio di memorie
nel mentre il soffio leggero dell’aria
abbraccia la furia
di quest’aria immobile .
tutto va lento come alte dune
in stanze sovrastate
da silenzi e chiaroscuri .
sarò forse l’ultima a sprofondare
in questo labirinto di dolore
sarò forse l’ultima luce
di Luna ad abbagliare
ma che mi annienti pure
l’incanto di un cielo aperto
mentre varco l’argine di un ombra
che s’attarda a lampeggiare .
ho sovrapposto le luci calanti della sera
all’inclinazione rosea della frenesia al tuo arrivo
mentre il silenzio sboccia come crisalide
nella transizione con l’imbrunire .
tu sei il mio tremore
quella fretta fra un braccio e l’altro
di arrivare al cuore
tu sei quell’anemia che sopraggiunge
alla mia debolezza
si , perché tu sei il mio tremore
la mia debolezza
quell’improvvisa bellezza
che mi attraversa
proprio come le braccia
per raggiungere il cuore
e legarmi ad una libertà che non sussiste
se non in un’assoluta emergenza
che porta alla mia anemia
una nuova ampolla
di gloria e sopravvivenza
anche la notte sa essere sfrontata
come l’illusione che scroscia fra le pieghe
di un intento solitario .
continuo a versare umori
e lacrime di giada .
la passione
mia disperazione
si fa embolo di fantasie
li dove la lingua
sa affiancare un bacio mancato
e un inevitabile assestamento di attenzione .
e continuo ad ingannarmi di idolatrante utopia
consumando la mia esistenza fra scadenze di affetti e frigide attese . sono come esanime , consumata da questo amore che inevitabilmente è il tuo , un assenzio lussurioso che si fa falso credo fra le preghiere che sul tuo costato invoco .
arrogante messia , padrone del mio amplesso etilico .
ancora una volta mi rendi orfana , senza alibi , di una volontà che mi domina come la sete , o peggio come la fame e il suo caos onnipotente .