nel logorio restante del tempo, intermezzo all’esistenza, si sfalda come fame sulla lingua asciutta, malizia che fu lama a consumare fame, e nel dilagare di rantoli e spine a pungere, le ore_ madide a fendere come brama irrorata_ mi attraversano roventi e trasversali fino a risorgere cariche ed aride come balsamo di catrame sulla schiena a sciabordare.
Io le conosco le tue mani a millantare certezza, carezze nella fretta del tempo che ti sta stretto. Io li conosco i movimenti del tuo corpo, imprevisti e ferrosi. Le strette anemiche, impreviste, i baci di sale, impazienti, la lingua tagliente, senza narrazione. Nella tua ombra a mozzare la mia c’è sempre un’argine che cola a picco. Nei tuoi occhi a sostare in prossimità dei miei c’è sempre un’inezia ad invasare la mia.
a singhiozzo sui rintocchi della luce instabile che mi attraversa mentre fuori tuona la luna, viola, di un colore annodato su ste stesso 7 volte come a bucare il vento e il suo scivolare denso dell’aria che è foce inodore, santità e fame, insapore, dal gusto fatale. a singhiozzo fra le lenzuola che sono sorgente per il mutamento che trancia e infesta il notturno delle cose che ho addosso, pelle ormeggiata a singhiozzo con il respiro che scricchiola sulla sostanza crèmisi che porta il tuo nome e il velluto del tuo ricordo che si fonde nella falla della mia ragione mentre morde il mutevole torpore nella mia screziata nudità.
mi trovi nella tua bocca che è un niente da masticare, un desiderio maldestro, un tentacolo di silenzio asciutto, spoglio fra i pensieri intorpiditi consolati da una realtà indicibile che schizza sulla lingua come inchiostro nero in preghiera. mi trovi fra le tue mani, irrequieta resa anestetizzata. mi trovi nei tuoi occhi seppellita fra le pieghe profonde, iride senza marea riemersa solo dalla perdizione che è consapevolezza ingenua, taglio di lacrima, sospiro e sale.
tornare al lamento di certe notti, alla gloria delle macerie sul corpo, a quel consumarsi che si annerisce come un ultimo boccone, come quella fame che non è mai pigra.
tornare a custodire il silenzio senza sosta nella prima luce, sulla soglia di una ragione che fioca annuncia e rintocca come un bacio a lingua piena.
tornare alla pelle rivoltata fresca come un lenzuolo al buio, essere opera acerba di ritorno bianco sale ad accanirsi sulla guarigione di un’anima che perisce fra le solite carezze.
vorrei riuscire a dissolvermi nella bramosia rabbiosa della tua bocca . vorrei riempire il tuo calice di ardita a scintillante piena . vorrei appagare la distanza dei tuoi occhi e galleggiare fra le gocce di sudore che ondeggiano dalla tua fronte alla mia . vorrei…essere quella carne viva che non trova una scorciatoia per entrare in te .
vorrei essere quella divisione oscura che diventa follia intrecciata alle mani e poi alla lingua compiacente e ancora nella forma inesausta un pezzo di cartilagine incompleto vibrante come una corda tesa sul punto di spezzarsi . vorrei essere quel rischio che rumoreggia e nel silenzio della notte accorgermi che il desiderio di dissolvermi in te si completa con un riflusso di sangue .
Esile si fa la forma come la punta sottile di un’armonica luce . Eccentrica l’ombra ne segue la gloria come nel dirsi parole . …e si lascia scivolare nei granelli di derma in redenzione fermi sul confronto di una silente combustione che deraglia in clemenza esigente di un candido oblio reso fiero respiro .
Sono prossima all’impatto emozionale inconsapevole dell’intenzione blaterata d’insolente autenticità . Nel pieno della fierezza del mio essere ringrazio ogni aspettativa nutrita e mal goduta di questa carne entusiasta che si motiva di latranti rimorsi .
Ho chiesto continuamente la conversione della mia parola in dimora e Purgatorio . Un riprendermi in senno dei sensi sconfinati sull’andare intollerabile . Niente mi tiene al riparo da questa sconfinata morte , che sia per la carne , che sia per l’amore .
Ho chiesto di riempire i miei abbracci con polveri sepolcrali sensati , di fuoco ardente, di assolato dolore , di spine e candore . Niente mi tiene al riparo da questo limbo d’illusione se non la realtà oscura partecipante al mio sogno migliore , che sia rosso come la lacrima del cuore , che sia nero come l’inchiostro con cui scrissi il tuo nome .
irrompe il silenzio d’una forma che è uno spruzzo di luce accanto agli occhi ,nera come la seta di un travaglio passionale . si alterna la notte amplificando il giorno in un continuo emergere di abissi con un tempo che si svezza d’oltre in ogni senso concepito . ho le mani libere immerse a toccare quanto accade in questa distesa lucida di fiamme . le colpe sono fresche lenzuola fra i colpi compressi in una ragnatela di fiati che slacciano le parole libere senza voce . irrompe il silenzio in questo ristagno di sogno che veglia i fianchi ancora caldi mentre il nero accanto agli occhi offusca la certezza di un cuore che travasa battiti senza rimpianti mentre è ancora il giorno a clonare le ore silenziose di un amore ritrovato e perduto mentre senza rotta si perde continuamente la notte .
aggiungo la notte all’ avanzare di un’altra notte una selvatica conseguenza imperfetta un raccapricciante esigere di luna che specula la mia volontà oltre di buio , oltre ogni accadere mentre lascio le mani nude e l’anima esposta , a te .
aggiungo il tremore al battito del cuore
l’ossigeno dei discorsi fatti
e la lingua unta di ogni altro bacio mancato
mentre la possibilità del ricordo si lega
con un orlo d’amianto sulla superficie
piuttosto che alla memoria
fatta di verità diverse , le tue .
aggiungo il potere a questo vizio di perdere
il dominio alla cessata volontà
aggiungo il mio corpo al tuo
e in ogni lembo mi estraggo carne
viva e impudica
con una sola possibilità di sopravvivenza
che si emette dal tuo grido al mio pianto , per noi .
è un eterno sepolcro questo oscillare nella notte
un grido che si fa chiodo nella preghiera sospesa
nel disgusto dell’aurora mancante
sono una vittima terrena , un gelo .
mi svuoto ogni volta ma ritorno ammalata
di questo incombente dolore
di questa pelle nera che tracima pena
cenere nera , immediata nella colpa .
fra le mani ho nascosto un rituale
nel petto un requiem da dimenticare
nell’anima un rantolante oblio da adagiare
è un eterno sconfinare questo oscillare nella vita
una commozione che non appartiene al cuore
un intollerabile conseguenza che non fa altro che ripetersi
come lo sguardo rosso di un silenzio che si fa carne .
rimbomba nell’interiore un nome secondario
una equazione d’amore estrema che si esterna
sulla pelle arrancante e fragile , un gelo .
è un eterno purgatorio questo assolato cortile un trionfo di voci che uccidono , come le risa negli arpeggi di un delirio che condanna armonicamente come la salvezza mentre pulso ancora , immediata nella colpa .
il respiro si fa molle come nella debolezza del ripetersi di gemiti notturni l’aria nel suo ripetersi unge la pelle e le parole , spicciole , scindono sul tuo nome come sottane cucite addosso stropicciate dalle carezze esigenti sciolte come candele accese mentre i fianchi si espongono scorretti sulla curvatura esposta delle tue mani .
trema la ragione sotto la tua presa inarcata , arrendevole cede come in pace mentre la distrazione negli occhi ha vita breve come negli avanzi di richieste candide attenuanti nude che sanno di succo di mandorla a sovvenire con scivolosi agguati della lingua che insegna urli e rapide follie .